Neuromarketing: panoramica di una nuova frontiera

Il neuromarketing è una disciplina emergente che deriva dall’applicazione delle conoscenze e delle pratiche neuroscientifiche al marketing, allo scopo di analizzare i processi irrazionali che avvengono nella mente del consumatore e che influiscono inconsapevolmente sulle decisioni di acquisto oppure sul maggiore o minore coinvolgimento emotivo nei confronti di un brand. Si comincia a sentire sempre…

Il neuromarketing è una disciplina emergente che deriva dall’applicazione delle conoscenze e delle pratiche neuroscientifiche al marketing, allo scopo di analizzare i processi irrazionali che avvengono nella mente del consumatore e che influiscono inconsapevolmente sulle decisioni di acquisto oppure sul maggiore o minore coinvolgimento emotivo nei confronti di un brand.

Si comincia a sentire sempre più parlare di come questa scienza possa portare benefici concreti alla comunicazione e alla ricerca di mercato e su come possa realmente aiutare a comprendere i processi decisionali del consumatore. Processi che nel nostro cervello non sono guidati solo dalla razionalità, ma dalla sfera emozionale, inconscia e intuitiva e che hanno un enorme impatto sull’efficacia della pubblicità. Misurare il coinvolgimento e l’impatto di questi ultimi è quindi un valido punto di partenza per rispondere con comunicazioni efficaci.

Marketing Persuasivo e Marketing Intuitivo

Esiste una differenza sostanziale tra il marketing persuasivo (quello tradizionale) e il marketing intuitivo. Il primo, più diffuso attualmente, focalizza la sua forza sull’utilizzo di messaggi razionali e persuasivi al fine di attirare l’attenzione del consumatore. Molti esperti di neuromarketing ritengono però che questi metodi di ricerca tradizionale siano molto imprecisi. Effettivamente la risposta razionale del consumatore a sondaggi o questionari è spesso condizionata da diversi fattori: da un lato spesso gli individui cercano di dare la risposta ‘giusta’ perché, essendo per natura socievoli, cercano continuamente l’approvazione altrui e questo fattore va ad influire sulle risposte e sui comportamenti. Dall’altra parte, invece, ciò che crediamo di provare non sempre corrisponde alla realtà, motivo per cui le risposte fornite dagli intervistati spesso non coincidono con i risultati dei test neurologici. Il secondo fa appello invece all’aspetto emozionale, inconscio e intuitivo del consumatore. Secondo Gerald Zaltman, professore della Harvard Business School, il 95% delle decisioni di consumo viene influenzato da processi che coinvolgono l’inconscio e sono quindi di tipo irrazionale. Nell’arco di una giornata siamo continuamente esposti a innumerevoli input sensoriali quali annunci pubblicitari, spot, cartelloni stradali, design di prodotti ed esperienze di consumo che, se ritenuti rilevanti, vengono mantenuti nella memoria permettendo di collegare nuovi ricordi ad altri acquisti effettuati in precedenza. I diversi stimoli vengono scannerizzati inconsapevolmente dal nostro cervello e sono proprio questi meccanismi a portarci a fare associazioni con i diversi marchi, collegandoli a determinati odori, suoni, colori, sensazioni o emozioni.

Fino a che punto possiamo fidarci dell’intuizione?

Quando si tratta di prendere una decisione, alcuni tendono a fidarsi maggiormente dell’intuizione, per altri invece, è necessario fare un’attenta analisi dei dati. L’ideale sarebbe unire le due cose e, infatti, il nostro cervello guida le nostre azioni proprio unendo inconscio e ragione. «Le persone si lasciano guidare dall’intuizione quando prendono una decisione, dunque, è necessario applicare un approccio complementare che tragga beneficio sia dall’analitica sia dall’intuizione» spiega Jay Liebowitz, professore dell’Harrisburg University of Science and Technology. Bisognerebbe quindi educare le persone a usare una sorta di “intuizione informata” che non operi in maniera del tutto inconscia. E’ necessario quindi applicare un certo rigore metodologico che comprenda un approccio cross disciplinare che faccia tesoro sia del neuromarketing sia della parte analitica.

Big Data VS Small Data

Martin Lindstrom, autore danese e grande esperto di neuromarketing, presenta questa disciplina come la chiave per comprendere ciò che definisce come buyology o acquistologia cioè, «i pensieri subconsci, le emozioni e i desideri che guidano le decisioni di acquisto che prendiamo ogni giorno della nostra vita». È opportuno menzionare l’insolito e interessante approccio che propone per comprendere il consumatore: in un’era dominata dai big data, egli invita a partire invece dagli small data, cioè dai piccoli indizi che si possono osservare nel quotidiano degli individui e che possono portare le aziende alla scoperta dei grandi trend. Si tratta, nello specifico, di analizzare modelli di comportamento che se utilizzati nel modo giusto, servono a migliorare l’immagine di un brand. Secondo Lindstrom, i big data, a differenza degli small data, non ci permettono di ottenere insight sulle emozioni dei consumatori perchè non osservano i consumatori nel loro ambiente naturale ma esclusivamente all’interno di database.

Tecniche e Metodi Utilizzati

Il neuromarketing si serve di strumenti e metodi neuroscientifici per ottenere insight sul consumatore e sul processo di presa di decisione.

  • Eye tracking

È una tecnica che permette di analizzare il punto di fissazione oculare e di registrare la dilatazione e la contrazione delle pupille. Questa funzione può essere molto utile poiché è stata riscontrata una correlazione tra la dilatazione della pupilla e l’interesse o l’attenzione dell’individuo nei confronti di uno stimolo e tra la contrazione della pupilla e l’avversione o il disgusto verso un determinato stimolo. Considerati questi dati, è possibile identificare i punti di forza e di debolezza di una campagna pubblicitaria. Questa tecnica permette anche di cogliere eventuali difficoltà di comprensione che il consumatore può riscontrare durante la lettura o la visualizzazione di un annuncio, basandosi sul tempo di fissazione oculare.

  • Elettroencefalogramma

Si tratta di una tecnica che consente di misurare e registrare l’attività elettrica cerebrale usando sensori o elettrodi posizionati sulla testa e collegati ad un computer. In particolare consente di rilevare quali aree dell’organo vengono attivate in corrispondenza della presentazione di determinati stimoli come annunci, logo o prodotti, considerando che la maggior attività elettrica del cervello in una determinata area può essere associata a determinati processi cognitivi quali memoria e presa di decisione oppure determinati stati mentali come fatica, stress o stanchezza. Il vantaggio è che permette un monitoraggio in tempo reale (risoluzione temporale dell’ordine del millisecondo), della risposta dei soggetti agli stimoli.

  • FMRI o risonanza magnetica funzionale (Functional Magnetic Resonance Imaging)

La risonanza magnetica funzionale permette di misurare il flusso sanguigno cerebrale. Questo dato può essere di grande utilità poiché l’aumento del flusso sanguigno verso una determinata regione del cervello indica una maggiore attività in quella specifica area.

  • Misurazione della risposta galvanica della pelle (GSR) o attività elettrodermica

Questa tecnica misura le variazioni nelle proprietà elettriche della pelle, in seguito alla variazione della sudorazione. Alcuni studi hanno evidenziato la relazione tra il segnale GSR e alcuni stati mentali, come stress, stanchezza e coinvolgimento, per questo motivo questa tecnica può essere di grande interesse per i marketer.

  • Biometriche che misurano il battito cardiaco

La misurazione delle alterazioni della frequenza cardiaca consente di analizzare le emozioni provate dagli individui poiché è stata riscontrata una corrispondenza tra le variazioni della frequenza cardiaca e le risposte emotive dei soggetti.

  • Facial coding o codifica delle espressioni facciali

La lettura e l’interpretazione delle espressioni facciali permette di trarre delle conclusioni sulle emozioni provate in presenza di certi stimoli.

Etica e Limiti nel Neuromarketing

Per quanto riguarda le questioni etiche che si pongono, l’argomento è in un certo senso controverso e le opinioni sui possibili usi e conseguenze per il consumatore si dividono.

Una associazione nordamericana, “Commercial Alert”, ha realizzato una petizione contro l’uso delle tecniche di neuromarketing, presentata anche al congresso nordamericano, enumerando le possibili conseguenze negative dell’uso del neuromarketing. Le critiche a questa disciplina riguardano, ad esempio, l’eventuale uso di queste conoscenze da parte di aziende promotrici di attività o di prodotti meno salutari come tabacco o fast-food oppure le eventuali conseguenze della creazione di campagne di propaganda politica “troppo efficaci”.

Esperti come Lindstrom, invece, presentano una prospettiva diversa, sostenendo che questa scienza emergente, come qualsiasi altra, deve essere vista come uno strumento che può essere usato sia per il bene che per il male e che tutto dipende dall’uso che ne viene fatto dalle aziende.

IAB